Imparare di nuovo a vivere le nostre piazze
by Claudia Beggiato
Domenica pomeriggio, una giornata d’inverno splendida, con il sole che scalda la pelle e l’aria tersa e fresca.
La piazza è viva, pulsa di persone che assaporano la luce e il calore, dopo giorni di pioggia. Grida di bambini che giocano a pallone, lo stesso che ci sfiora mentre corre dalla parte opposta; un uomo è seduto sulla panchina col capo chino a telefonare; altri, sul muretto, dialogano usando lingue incomprensibili; là in fondo, seduti a terra in cerchio, amici giocano alle carte mentre altri li osservano.
Mentre camminiamo, tutti salutano contraccambiando il mio sorriso. La piazza pulsa. La struttura architettonica appena ristrutturata rinasce e diventa viva, esprimendosi per la funzione per la quale fu ideata e progettata: far incontrare la gente, creare un punto di ritrovo.
Ma è una “nuova gente” quella, un tipo di gente che sa ancora apprezzare la semplicità di una piazza e il dolce far niente, se non chiacchierare. Sono persone che possono essere felici di stare seduti a terra giocando a carte, o sul muretto a prendere il sole sulle spalle, parlando tra loro.
Mi ricordano le nostre contrade, e le sedie fuori con le persone a raccontarsi la sera, dopo il tramonto. Non c’era molto allora, e questo bastava per definire il divertimento.
Le nostre piazze sono tornate a esistere, oggi. Lo sono perché abbiamo altri italiani stranieri che le hanno portate alla vita. E questo, forse. a qualcuno potrebbe dare fastidio.
Eppure, meditandoci mi viene da dire: “Siamo capaci, noi, di godere degli spazi aperti condivisi, facendoli nostri e rendendoli pulsanti? Oppure preferiamo prendere l’auto e andare per centri commerciali?”
Le piazze, i parchi, sono nostri, sono di tutti. Sono di chi vuole e crede di poterli vivere.
Basterebbe saper assaporare ancora, la bellezza delle cose semplici, come stare insieme a raccontarsi.
Forse è il “raccontarsi” che non sappiamo più fare ma possiamo ri-impararlo.